La legislazione antiebraica fascista

Settanta anni or sono, il 14 dicembre 1938, in questa Istituzione, allora totalitariamente asservita alla dittatura fascista e al dittatore Benito Mussolini, i deputati dapprima acclamarono — “in piedi, con vivissimi generali prolungati applausi” — e poi votarono all’unanimità la conversione in legge dei regi decreti-legge antiebraici varati nei mesi precedenti dal Consiglio dei ministri e recanti la firma del re Vittorio Emanuele III di Savoia. Mussolini era presente alla seduta. Erano assenti i deputati classificati “appartenenti alla razza ebraica”.1

In quella stessa seduta del 14 dicembre 1938 la Camera dei deputati deliberò all’unanimità il proprio scioglimento e l’istituzione di una Camera dei Fasci e delle Corporazioni, non più elettiva. Vi fu quindi contemporaneità perfetta tra introduzione dell’antisemitismo di Stato e abolizione dell’ultimo elemento di democrazia, ormai del tutto svuotato ma formalmente ancora esistente. E anche in questa occasione tale contemporaneità non segnala casualità, bensì la profonda simbiosi esistente tra vitalità della democrazia e vitalità della uguaglianza e della parità. Del resto Claudio Treves, anch’egli membro di questa Camera fino all’esilio, sui propri giornali aveva tempestivamente annunciato il pericolo incombente, scrivendo nel dicembre 1923:

Quando trionfa il dispregio della Libertà, torna … il potere temporale e torna l’antisemitismo.2

E poi nel dicembre 1928:

La battaglia contro l’ebreo comincia fascisticamente in Italia. Logico del resto. La tolleranza ripugna al totalitarismo del sistema.3

E nell’agosto 1919 il giornale dei Fasci di combattimento di Milano aveva descritto Treves con queste parole:

… faccia deforme, spalle sbilenche, occhio porcigno, voce chioccia, sorriso eternamente beffardo. Ebreo, è il tipo più idoneo per accentuare contro la sua razza la diffidenza e l’antipatia.4

Presentando ai suoi colleghi deputati il principale dei decreti-legge antiebraici, quello datato 17 novembre 1938 e intitolato Provvedimenti per la difesa della razza italiana, il relatore affermò:

La nostra razza deve essere preservata da ogni e qualsiasi contagio che ne possa comunque menomare, e dal lato fisiologico e dal lato psicologico, la sua essenza puramente ed esclusivamente italiana.5

Presentando il decreto-legge datato 15 novembre 1938 e intitolato Per la difesa della razza nella scuola italiana, lo stesso relatore asserì:

Si è provveduto ad eliminare in modo assoluto l’ebraismo dalla scuola, onde lasciare a questa il suo profilo e la sua essenza esclusivamente italiani.6

Il relatore (non importa qui precisarne il nome, dato l’unanime caldo consenso dei deputati alla legislazione antisemita) aveva bene espresso i due pilastri dell’azione antiebraica fascista nel 1938: disebreizzare e allo stesso tempo arianizzare la scuola, l’amministrazione pubblica, il corpo dei vigili del fuoco, le banche, le borse, le rivendite di tabacchi, il teatro alla Scala, i nomi delle vie cittadine, le società sportive, eccetera eccetera.

La persecuzione varata nel 1938 colpì i diritti dei cittadini ebrei, nel 1943 subentrò la terribile fase della persecuzione delle vite. Il mio Istituto, il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, conserva e divulga appunto la documentazione di ciò che accadde; così io ho potuto riunire l’intero corpus della legislazione antiebraica;7 Liliana Picciotto ha raccolto nel Libro della Memoria i nomi degli ebrei vittime del capitolo italiano della Shoah;8 Marcello Pezzetti pubblicherà a gennaio 2009 le memorie di quelli sopravvissuti.9 Le attuali ricerche del CDEC vertono principalmente sul tema degli italiani non ebrei che oggi definiamo “giusti”, ma i colpi della crisi economica stanno falciando ahimé lo sviluppo di quegli studi e lo stesso funzionamento dell’Istituto. Tra i pochi che si opposero alla marea montante dell’antisemitismo del 1938 vorrei menzionare il socialista deamicisiano Giulio Casalini, il cui mensile “L’igiene e la vita” fu più volte sequestrato e infine soppresso proprio perché incolpato di “atteggiamento antirazzista”;10 il liberale Benedetto Croce, che rifiutò di compilare un formulario di autoclassificazione “razziale”, sottraendosi — così affermò — “all’atto odioso e ridicolo insieme di protestare che non sono ebreo proprio quando questa gente è perseguitata”;11 il comunista Giuseppe Gaddi, esule in Francia, che scrisse:

Il giovane operaio o il giovane impiegato di Milano non può risolversi a considerare come un essere inferiore la piccola dattilografa milanese che dopo una visita alla sinagoga va a ballare con lui, come lo studente non può risolversi a considerare come una nullità il grande professore che lo ha educato e salutare invece come un grande scienziato il fascista che occupa la sua cattedra per il solo merito del ‘puro sangue ariano’ che scorre nelle sue vene.12

Noi storici sappiamo che vi furono cittadini che si pronunciarono contro le leggi antiebraiche e contro il razzismo, ricevendo ammonizioni e altri provvedimenti di polizia, ma dobbiamo tristemente dirci che non sono ancora stati studiati.

Gli ebrei d’Italia furono fortemente colpiti dai princìpi delle leggi prima ancora che dai loro contenuti. Oltreché essere antiumane, le teorizzazioni fasciste sull’esistenza di una razza italiana e sulla non appartenenza ad essa degli ebrei italiani, calpestavano lo spirito e il significato del processo risorgimentale e di quello emancipatorio, svoltisi in stretta e complessa simbiosi. Spirito e significato che bene si esplicitavano — per fare un solo esempio — nella “professione di fede” scritta nel 1911 da un ebreo italiano, capitano di artiglieria:

Amare immensamente la mia Patria e desiderarla grande, forte, rispettata e temuta.13

Ebbene, nel 1938 il re e i governanti di quella Patria espulsero dall’esercito quell’ufficiale, divenuto ormai generale. Suo figlio, rifugiatosi in quel 1938 in Inghilterra per studiare e lavorare, nel 1940, al momento dell’entrata d’Italia in guerra, si arruolò sotto la bandiera britannica e nel 1943 — prima ancora del 25 luglio — rientrò clandestinamente in Italia come operatore radio, fungendo poi da collegamento tra la Resistenza e i liberatori anglo-americani. È alla luce di tutto ciò che io sostengo che se mai la Patria può trovare la morte, ebbene ciò da noi avvenne nel 1938, quando gli italiani non ebrei Mussolini e Vittorio Emanuele III esclusero gli italiani ebrei dalle forze armate e dall’intera vita nazionale. E, proseguendo la riflessione, se mai la Patria può ritrovare la vita, ebbene ciò da noi accadde nel settembre 1943, quando le forze antifasciste accolsero da uguali gli italiani ebrei nel nuovo esercito nazionale costituto dalle bande partigiane.

Nel settembre 1923, commentando la riforma Gentile che imponeva il cattolicesimo a fondamento dell’istruzione elementare, il rabbino capo di Roma Angelo Sacerdoti affermò:

È lecito ritenere che, fra non molti anni, agli Ebrei verrà ad essere precluso l’esercizio dell’insegnamento nelle pubbliche scuole.14

Quindici anni più tardi il regime fascista concretizzò le previsioni di Treves e Sacerdoti. All’antigiudaismo cattolico si erano ormai intrecciati e poi sovrapposti l’antisemitismo nazionalista, quello cospirazionista, quello esoterico e infine quello razzistico-biologico. E fu quest’ultimo a contrassegnare le leggi persecutorie: ciascun italiano fu assegnato all’una o all’altra “razza” sulla base del “sangue” posseduto: uomini e donne erano solo pacchi postali sigillati trasportanti materiale genetico dalla generazione precedente alla successiva. Lo stesso tipo di razzismo era già applicato ai danni dei neri, mentre diverso come categoria ma simile come radicalità era il razzismo attuato contro gli slavi al confine orientale.

Le norme antiebraiche italiane non furono blande. E non furono disapplicate. Gli ambulanti ebrei che persistevano a vendere vennero multati o internati. Gli alti funzionari dello Stato ebrei furono dimessi. Dalla Fiat furono cacciati prima i dirigenti e poi gli operai. Nelle scuole non si accennò più al pensiero di Karl Marx e i cinematografi bandirono i film dei fratelli Marx. Nei manuali di preparazione all’insegnamento elementare fu inserito un capitolo su razzismo e antisemitismo. Anche in questo frangente il fascismo dimostrò — ahinoi — di non essere un regime-barzelletta, bensì uno Stato-partito capace di dominio.

L’ingresso in guerra nel giugno 1940 impedì al fascismo di realizzare il suo obiettivo di espulsione di tutti gli ebrei dalla penisola; anche a causa di ciò la persecuzione venne aggravata. Dal settembre 1943 nell’Italia centrosettentrionale uomini aventi divisa tedesca o divisa italiana braccarono e arrestarono gli ebrei schedati, isolati e impoveriti. Chiunque fosse l’arrestatore, essi vennero caricati su treni destinati principalmente al centro di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Mussolini sapeva e condivideva. Solo dopo molti mesi e dopo troppi morti le forze combattenti italiane e alleate poterono riportarci libertà, democrazia, uguaglianza. Quelle stesse di cui oggi godiamo.

Questo è ciò che accadde settanta anni or sono, questo è il nostro passato collettivo. Da lì veniamo. Di esso dobbiamo essere consapevoli.

Note


  1. Per la storia della persecuzione antiebraica nell’Italia fascista cfr. Michele Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, nuova ed., Einaudi, Torino 2007. Per il ruolo di Mussolini nell’elaborazione della legislazione antiebraica cfr. Id., Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938, Zamorani, Torino 1994; aggiornamenti in: Id., La preparazione delle leggi antiebraiche del 1938. Aggiornamento critico e documentario, in Ilaria Pavan, Guri Schwarz (a cura di), Gli ebrei in Italia tra persecuzione fascista e reintegrazione postbellica, Giuntina, Firenze 2001, pp. 25–25. Gli atti della Camera dei deputati relativi alle leggi antiebraiche e alla seduta del 14 dicembre 1938 sono pubblicati in facsimile in Camera dei deputati, La persecuzione degli ebrei durante il fascismo. Le leggi del 1938, Roma 1998, pp. 139–139. ↩︎

  2. Niente antisemitismo, in “La giustizia”, 2 dicembre 1923. ↩︎

  3. Fascismo ed ebrei, in “La libertà. Giornale della concentrazione antifascista”, 30 dicembre 1928; cit. in Luca La Rovere, Fascismo, “questione ebraica” e antisemitismo nella stampa socialista. Un’analisi di lungo periodo: 1922–1922, in Mario Toscano (a cura di), Ebraismo, sionismo e antisemitismo nella stampa socialista italiana. Dalla fine dell’Ottocento agli anni sessanta, Marsilio, Venezia 2007, p. 98. ↩︎

  4. R., Il nostro bersaglio: Claudio Treves, in “Il fascio”, 15 agosto 1919; cit. in Giorgio Fabre, Mussolini razzista. Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita, Garzanti, Milano 2005, p. 350. ↩︎

  5. Camera dei deputati, La persecuzione cit., pp. 143–143. ↩︎

  6. Camera dei deputati, La persecuzione cit., p. 146. ↩︎

  7. Michele Sarfatti (a cura di), 1938 le leggi contro gli ebrei, fascicolo monografico de “La rassegna mensile di Israel”, v. LIV, n. 1–1 (gennaio–agosto 1988). ↩︎

  8. Liliana Picciotto, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia 1943–1943. Ricerca della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Mursia, Milano 1991 (terza edizione riveduta: Milano 2002). ↩︎

  9. Marcello Pezzetti, Il libro della Shoah italiana. I racconti di chi è sopravvissuto. Una ricerca del Centro di documentazione ebraica contemporanea, Einaudi, Torino 2009. ↩︎

  10. Cfr. Roberto Gremmo, Una voce contro le leggi razziali, in “Tribuna novarese”, 29 gennaio 2007; Michele Sarfatti, Quando gli italiani si scoprirono ariani, in “Corriere della sera”, 26 settembre 2008. ↩︎

  11. Annalisa Capristo, L’espulsione degli ebrei dalle accademie italiane, Zamorani, Torino 2002, pp. 38–38. ↩︎

  12. Giuseppe Gaddi, Il razzismo in Italia, Lega Italiana contro il Razzismo e l’Antisemitismo, [Parigi] 1939; ripubblicato in “Qualestoria”, v. XVI, n. 2 (ottobre 1988), pp. 10–10, citazione a p. 13. ↩︎

  13. Gualtiero Sarfatti, A proposito di nazionalismo, “Rassegna nazionale”, a. XXXIII, 1 giugno 1911, p. 3 dell’estratto. ↩︎

  14. Angelo Sacerdoti, Un grido d’allarme, in “Israel”, a. VIII, n. 38 (17 settembre 1923). ↩︎

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