Giacomino Sarfatti, agente inglese clandestino in Italia 1942-1944

Giacomino (mio padre) nacque a Firenze il 20 luglio 1920 da Eloisa Levi e Gualtiero Sarfatti. Aveva due fratelli: Giorgio (Gad, nell’emigrazione in Palestina/Israele) e Gianfranco (Gaddo, nella Resistenza valdostana).

Nell’estate 1938 conseguì la maturità classica, a Firenze. Sopraggiunte le leggi antiebraiche, si recò in Gran Bretagna (il padre, che aveva conseguito il grado di generale d’artiglieria, fu cacciato dall’esercito italiano).

In Inghilterra lavorò in una fattoria; nel 1939 si iscrisse ad agraria all’università di Reading. A seguito dell’ingresso in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940, fu internato come “straniero nemico”.

Nel novembre 1940 si arruolò volontario in un corpo ausiliario dell’esercito britannico. Nel marzo 1941 entrò nel Special Operations Executive (SOE), un corpo segreto incaricato di occuparsi di “sabotaggio, sovversione e sostegno alla resistenza popolare all’interno del territorio nemico” (Bailey 2014, 43; Sebastian 1986), talora siglato come MO1 (SP) (Foot 1999, 24). Fu addestrato quale operatore radio e promosso sottotenente.

Nel 1942 accettò di lavorare in Italia. Entrò clandestinamente in Italia il 18 dicembre, passando da Francia e Svizzera (ove operava il suo referente John ‘Jock’ McCaffery). Doveva agire a Milano quale operatore radio di un agente britannico in loco (denominato 900). Doveva celare di essere agente inglese, di essere italiano al servizio del nemico, di essere ebreo, di avere una famiglia in Firenze.

Nel maggio 1943 fu promosso tenente. Era a Milano il 25 luglio e sul Lago Maggiore l’8 settembre. Successivamente si spostò in varie località della Lombardia settentrionale, da ultimo nella zona dell’Aprica. Richiamato a Londra, passò clandestinamente in Svizzera nell’ottobre 1944.

Il suo responsabile a Milano era un doppiogiochista, che lavorava per il Servizio Informazioni Militare (SIM). Il SIM apprese tutto di lui, tranne il vero nome, la famiglia, l’essere ebreo. Già tredici giorni dopo il suo arrivo a Milano un rapporto del SIM scriveva che “Giacomo Rossi [il suo nome di copertura] (…) esce di casa al mattino e di pomeriggio per far credere nel caseggiato di via Marcona 81 di essere un piazzista di prodotti farmaceutici” (Bailey 2014, 195; Holt 2004, 122). Circa metà degli agenti che il SOE infiltrò in Italia vennero uccisi (Bailey 2014, 15); Giacomino Sarfatti dovette la sua vita forse al fatto che il SIM era interessato a conoscere tutti i dettagli del funzionamento del SOE. Il SOE apprese tutto ciò negli incontri col SIM avvenuti dopo l’armistizio e l’ingresso in guerra del Regno d’Italia contro il Terzo Reich.

Giacomino Sarfatti si è laureato in Scienze agrarie all’Università di Firenze nel 1948; è stato assistente e professore di botanica nelle università di Firenze, Bari, Camerino e Siena; è intervenuto pubblicamente su temi ambientali (Pedrotti 1985; Sarfatti 2011). E’ morto a Siena il 28 gennaio 1985.

Consapevole che non spetti a me ricostruire la sua biografia (Sarfatti 2002), ritengo tuttavia che la sua storia possegga elementi di interesse. Dal fascicolo archivistico del suo servizio britannico ho pertanto selezionato il verbale dell’“interrogatorio” che gli fecero i suoi superiori al rientro a Londra, di cui qui di seguito pubblico la maggior parte, nella traduzione in italiano fatta dalla moglie Elisa Benaim con una mia omogeneizzazione finale.

Relativamente alle descrizioni di persone ed episodi, occorre tenere presente che egli riferì sia ciò che aveva direttamente visto e vissuto, sia ciò che aveva appreso da terzi. Il fine dell’interrogatorio londinese non era quello di essere pubblicato.

Ringrazio Christopher Woods e Alan Poletti.


Riferimenti bibliografici

Bailey 2014 – Roderick Bailey, Target: Italy. I servizi segreti inglesi contro Mussolini, 1940-1943, De Agostini, Novara 2014 [ed. or. Target: Italy. The Secret War against Mussolini, 1940-1943. The Official History of SOE Operations in Fascist Italy, Faber and Faber, London 2014].

Foot 1999 – Michael Richard Daniell Foot, SOE An Outline History of the Special Operations Executive 1940-1946, Pimlico, London 1999 [ed. or. British Broadcasting Corporation, London 1984].

Holt 2004 – Thaddeus Holt, The Deceivers. Allied Military Deceptions in the Second World War, Weidenfeld and Nicolson, London 2004.

Pedrotti 1985 – Franco Pedrotti, Giacomino Sarfatti, in “Informatore botanico italiano”, v. 17 (1985), n. 1-3, pp. 59-65.

Sarfatti 2002 – Michele Sarfatti, L’attività extrauniversitaria del prof. Giacomino Sarfatti, in “Quaderni di storia”, n. 56 (luglio–dicembre 2002), pp. 233-240.

Sarfatti 2011 – Giacomino Sarfatti, Sogni necessari. Ambiente, agricoltura, scienza e società, All’insegna del giglio, Borgo San Lorenzo (FI) 2011 (a cura di Paolo Sarfatti).

Sebastian 1986 – Peter Sebastian, I Servizi Segreti Speciali Britannici e l’Italia (1940-45), Bonacci, Roma 1986.


Attachment ‘A’

2 novembre 1944 – Interrogatorio di Galea alias Rossi (Nome vero: Giacomino Sarfatti)

1. Storia e antecedenti

Fonte [“Source”] è un italiano nato a Firenze nel luglio 1920. Venne in Inghilterra nel 1938 a causa della persecuzione razziale, essendo di sangue ebraico. Fonte ha un fratello in Palestina; i suoi genitori e un altro fratello sono ora in Svizzera. Ha uno zio in Inghilterra, di nome professor Sarfatti, che venne qui nel 1935. Fonte ha fatto parte dell’organizzazione giovanile Balilla, cosa più o meno inevitabile, sebbene Fonte non abbia alcuna simpatia per il fascismo. Fonte non aveva scelto alcuna particolare professione; così, quando arrivò in Inghilterra lavorò in una fattoria di un certo Mr. Wood. Fu presentato a questa persona da suo cugino Capitano Goldsmith. Quando l’Inghilterra dichiarò guerra all’Italia Fonte venne internato. Prima di essere internato frequentava l’Università di Reading. Nel novembre 1940 Fonte entrò nel A.M.P.C. [Auxiliary Military Pioneer Corps] e vi rimase finché fu arruolato in questa organizzazione, nel marzo 1941. Fonte era ed è antifascista.

Fonte venne addestrato in Inghilterra e fu mandato a Malta nell’ottobre 1941. Fonte dichiara che lavorò lì con un operatore radio che crede stesse contattando la Yugoslavia. Mentre era a Malta Fonte aiutò questo uomo e inoltre ebbe una qualche sorta di addestramento sulla sicurezza. Fonte rimase lì fino al luglio 1942, quando tornò in Inghilterra, volando da Malta a Gibilterra e da lì in Inghilterra. Mentre era a Malta a Fonte fu chiesto se avrebbe accettato di lavorare in Italia. Fonte accettò.

2. Partenza e Missione

Fonte partì dall’Inghilterra dopo alcune partenze false, per recarsi in Italia, intorno al 24 ottobre 1942. La sua missione consisteva nel contattare un agente in Italia di nome 900 in cui, gli fu detto, poteva avere completa fiducia, e nel lavorare come operatore radio per questo agente. Gli fu detto di valutare lui stesso quanto materiale trasmettere, e che se avesse ritenuto che gli veniva chiesto di trasmettere più di quanto poteva essere compatibile con le esigenze della sicurezza, di rifiutarsi a ciò. Gli fu comunicato che come compiti secondari avrebbe potuto essere incaricato di fare addestramento sul tema della demolizione [“instruction on demolition”], e forse, in seguito, di contattare altre organizzazioni quali l’Organizzazione Tigre [“Tiger”]. Comunque, non avrebbe dovuto dedicarsi a questi compiti secondari se non dietro specifico incarico.

3. Sbarco

Fonte fece il viaggio via mare passando per Gibilterra e sbarcò nei pressi di Cassis nel sud della Francia. A Fonte era stato detto di non parlare francese sul treno ecc., dato che parlava francese con un accento inglese. Con Fonte sulla nave vi erano tre donne, un belga e un inglese che parlava francese. Vi era inoltre un giovane di cui Fonte non conosceva la nazionalità. Un ufficiale polacco alla guida del gruppo scese a terra per primo e trovò che il comitato di ricevimento [“reception committee”] stava giusto andando a casa, ritenendo che il gruppo non sarebbe più arrivato. L’ufficiale polacco tornò a bordo e il gruppo fu fatto scendere a terra. Ognuno portava la sua valigia; trovarono che il comitato di ricevimento aveva procurato un camion per trasportarli a un villaggio. Dormirono lì e il mattino seguente presero un autobus per la stazione, dove salirono su un treno per Nizza. Le persone che erano arrivate in nave con Fonte erano anch’esse sul treno, ma non si rivolsero la parola. Nel Regno Unito Fonte aveva avuto istruzioni di recarsi a un indirizzo a Nizza e dire una parola d’ordine (non ricorda né l’indirizzo, né la parola d’ordine). Poi Fonte sarebbe stato condotto in Svizzera, dove gli avrebbero detto chi contattare per ulteriori istruzioni.

4. Identità fittizie

Nel Regno Unito a Fonte era stata data una carta d’identità col nome di Jacques Rossi. Gli era stato detto che se fosse stato preso dai tedeschi mentre era in Francia doveva dire che era un prigioniero di guerra in fuga (inglese). Fonte avrebbe detto che durante il trasporto dalla Francia in Germania, subito prima di Belfort era saltato giù dal treno e si era incamminato verso il sud della Francia. Sulla sua carta d’identità vi era scritto un indirizzo di una località della Francia occupata e gli era stato descritto il luogo. A Fonte era stato comunicato che non avrebbe corso alcun pericolo in Francia e se avesse dovuto usare la versione del prigioniero di guerra in fuga poteva improvvisare se necessario.

Gli avevano inoltre dato una identità di copertura da usare col nome di Galea. Doveva dire che era un maltese, nato a Malta. Che aveva vissuto parte a Malta e parte in Inghilterra, cosa che giustificava il suo leggero accento inglese. I suoi genitori erano ambedue morti. Doveva dire che aveva uno zio in questo paese, e che aveva frequentato per qualche tempo l’Università di Reading. Fonte voleva avere questa biografia fittizia da poter usare poiché non voleva che i tedeschi sapessero il suo vero nome, dato che i genitori si trovavano in quel momento ancora in Italia. Valletta era il luogo a Malta dove era nato. Questa era la copertura che doveva usare in Italia.

5. Nizza

L’indirizzo a Nizza dato a Fonte era di un appartamento. Quando vi si recò la mattina seguente, non vi trovò nessuno e così passeggiò un po’ per Nizza; ma non entrò in alcun ristorante ritenendo ciò contrario alla sicurezza. Alle due circa del pomeriggio tornò all’indirizzo e trovò una signora anziana che gli disse che avevano avuto dei guai e molti dei colleghi [“colleagues”] erano stati catturati. Portò Fonte da un suo amico, padrone di un piccolo albergo vicino alla stazione. Qui Fonte fu presentato a un uomo e a sua moglie. Fonte dormì una notte in questo albergo e mentre era lì usò l’identità di Galea. Comunicarono a Fonte che qualcuno sarebbe venuto da Perpignan per lui. La sera seguente una signora venne nell’albergo e disse a Fonte di rincontrarsi alla stazione la mattina dopo a una determinata ora, poco prima che il treno partisse. Fonte portava una valigia con un po’ di vestiti ed un certificato medico con scritto che soffriva di epilessia, certificato che aveva portato dal Regno Unito. Non aveva con sé la radio e i piani, oggetto di invio separato. La signora disse a Fonte che stavano andando a Perpignan. Fonte non ricorda quale identità utilizzò per questo viaggio. Arrivarono a Perpignan di notte e si recarono alla casa del capo dell’Organizzazione a Perpignan. Era maltese e parlava un buon francese. In questa casa Fonte incontrò anche il belga con cui era sbarcato. Evidentemente c’era stato un pasticcio qui dato che il maltese credeva che Fonte fosse arrivato dalla Svizzera e volesse andare in Spagna, mentre invece, come detto sopra, Fonte doveva andare in Svizzera. Fonte fu trattenuto a Perpignan per circa quattro o cinque giorni, discutendo tutto il tempo con il maltese che diceva che non aveva istruzioni per mandarlo in Svizzera. Alla fine Fonte lo persuase a condurlo alla frontiera.

A quel punto venne una donna francese e portò Fonte con sé a casa sua, ad Annecy. Arrivati alla stazione, dovettero mostrare le carte d’identità, ma non vi furono problemi, e poterono andare direttamente a casa di questa signora. Lei gli disse che la sua attività non era di far oltrepassare il confine alle persone, e perciò non aveva niente di pronto, ma sapeva che era facile e avrebbe chiesto aiuto a degli amici. Questi amici si informarono e scoprirono che il posto migliore per valicare era vicino a St. Julien [probabilmente Saint Julien en Genevois]. Furono aiutati da un’insegnante di scuola di St. Julien. St. Julien è a circa mezzo chilometro dalla frontiera. Quando tutto fu pronto Fonte andò a St. Julien, arrivando nel pomeriggio, e si recò alla casa dell’insegnante. Fonte lasciò la maggior parte delle sue cose ad Annecy, dove gli erano stati dati un cappotto, delle sigarette e del cibo. La professoressa abitava con una sua collega e quest’ultima uscì a controllare se c’erano delle guardie in giro. Quando tornò si stava facendo buio, e gli dette via libera. Fonte si incamminò verso la frontiera con le due insegnanti e vide che una strada costeggiava il confine. Fonte si nascose fra gli alberi da un lato della strada, mentre le due donne si assicuravano che non ci fosse nessuno nei paraggi. Quando passarono davanti a Fonte per la seconda volta agitarono i loro fazzoletti, segno convenuto che la via era libera.

6. Svizzera

Fonte attraversò la strada e poi un campo di calcio. In fondo a questo capo di calcio c’era del fino spinato, calpestato dalla gente che andava e veniva dalla Svizzera. A Fonte era stato detto come arrivare a Ginevra una volta in Svizzera, che treno prendere ecc., ma era buio, imboccò la strada sbagliata e si perse, e venne arrestato da due guardie svizzere. Fonte arrivò in Svizzera fra il 29 e il 31 ottobre [probabilmente novembre, per coerenza con quanto scritto sotto e ai punti 2-5].

Quando Fonte fu preso dalle guardie svizzere non sapeva che nome dare; crede di aver dato il nome Rossi. Disse che era sbarcato con i Commando nel raid di Dieppe e che era stato fermato pochi chilometri all’interno. Disse che era stato aiutato dalle organizzazioni francesi sparse in Francia. Poi, non riuscendo a entrare in Spagna, dato che l’occupazione tedesca [avviata il 10 novembre 1942] aveva buttato all’aria i piani dell’organizzazione francese, aveva deciso di recarsi in Svizzera. Fonte ha dichiarato che dopo il suo arresto [in Svizzera] era passato per quattro campi differenti; e nell’ultimo aveva scritto al console inglese a Ginevra dicendo che desiderava vederlo. Fu allora trasferito in un altro campo a Ginevra, dove aspettò qualche giorno. Stette circa 10 giorni in tutti questi campi. Il console inglese inviò l’addetto militare a intervistarlo e Fonte gli rivelò la propria identità. Fonte venne rilasciato e portato in un piccolo albergo. Durante l’intervista dell’addetto militare a Fonte fu detto che tutto sarebbe andato bene. Mentre era in albergo Fonte incontrò Mr. Mccaffery. Fonte fu portato a Berna dove venne intervistato da un colonnello svizzero. Il colonnello svizzero disse a Fonte che non credeva alla sua storia e che voleva ulteriori dettagli; ma Fonte gli disse che aveva dato la sua parola di non tradire i francesi che l’avevano aiutato. Il colonnello tentò di farlo cadere in fallo chiedendogli dov’era quando aveva avuto luogo lo sbarco americano in nord Africa e quando i tedeschi occuparono la zona non occupata della Francia. Pur se non gli credette, il colonnello svizzero fu costretto a lasciarlo libero, sapendo che Fonte era appoggiato dalle autorità britanniche. Il colonnello si arrabbiò molto quando sentì che Fonte era già stato visto dall’addetto militare. Fonte fornisce la seguente descrizione del colonnello svizzero:

viso lungo e stretto; naso sottile; capelli grigi;

età circa 50 anni; parlava inglese.

A quel punto liberò Fonte e Fonte tornò a Ginevra. Mentre era stato nei campi di internamento Fonte aveva avuto un leggero malessere e rimase in ospedale sotto osservazione per qualche giorno. Dimesso dall’ospedale, andò in un albergo e ricevette da Mr. Mccaffery le sue istruzioni definitive. Le istruzioni per attraversare la frontiera ed entrare in Italia erano che sarebbe stato aiutato da alcuni svizzeri e che, sul versante italiano avrebbe incontrato una guardia di frontiera – una “Guardia di finanza” – (una delle guardie di frontiera addette alla prevenzione del contrabbando) – che l’avrebbe condotto a Milano. La sua identità fittizia era che suo padre era un gioielliere di Roma e doveva dire che portava oro dall’Italia in Svizzera o viceversa, a seconda di cosa fosse più opportuno.

Prima di lasciare la Svizzera, Fonte distrusse la sua carta d’identità francese e ne ricevette una italiana da Mr. Mccaffery. Questa carta di identità era intestata a Giacomo Rossi, nato a Firenze il 20 marzo e lì residente in Piazza Indipendenza 5. Non gli vennero dati altri documenti tranne un certificato medico, che teneva nascosto dentro una spazzola da scarpe, attestante che era stato riformato dall’esercito poiché affetto da epilessia. 

7. Il confine

La notte del 17/18 dicembre Fonte attraversò il confine. Fonte andò da Ginevra a Lugano con un uomo di nome “Tom”, un’inglese che era assistente di Mr. Mccaffery. Fonte aveva ricevuto un passaporto inglese dal sig. Farrell, che doveva abbandonare nel gabinetto del treno dove “Tom” l’avrebbe raccolto. Quando Fonte arrivò a destinazione si incontrò con dei contrabbandieri. Questi durante la notte lo portarono al confine; quando la via fu libera Fonte si arrampicò su di una staccionata e venne portato in un granaio in un campo lì vicino; vi rimase finché la guardia di frontiera finì il suo turno, verso le 3-5 del mattino. Fonte era arrivato in Italia.

8. Milano

Si recarono nel villaggio più vicino chiamato Maslianico e lì salirono su un trolley-bus per Como, andarono alla stazione e presero il treno per Milano. Fonte arrivò alla stazione delle Ferrovie Nord e prese il tram per la stazione centrale. Da qui Fonte si diresse a piedi all’indirizzo che gli aveva dato Mr. Mccaffery: via Marcona, 81 o 82. La sua identità fittizia era che abitava in Svizzera e che sua madre, che viveva in Italia, era in ospedale ed era venuto a trovarla. Quando arrivò in Italia Fonte aveva circa 3.000 lire. Gli avevano detto che tutto era stato organizzato per lui. Quando giunse all’indirizzo (un appartamento) la padrona di casa gli disse che un altro sig. Rossi aveva affittato una stanza ammobiliata per qualche settimana, prima dell’arrivo di Fonte. Questo sig. Rossi le aveva detto che aveva una ditta a Torino e che voleva la stanza per un altro sig. Rossi che avrebbe lavorato con lui, e sarebbe presto giunto a Milano. Fonte ha detto che al suo arrivo suscitava molti sospetti, dato che era molto sporco. La donna gli disse che poteva rimanere in quella stanza. Dopo il secondo giorno il primo sig. Rossi non si era ancora messo in contatto con Fonte e la padrona gli disse che non credeva fosse l’impiegato di cui gli aveva parlato il “sig. Rossi” e che non poteva rimanere nella stanza. Peraltro, se voleva, poteva rimanere in contatto con lei, e se il “sig. Rossi” le avesse detto che lui era la persona giusta, tutto sarebbe andato a posto. Fonte perciò andò in un piccolo albergo, che successivamente scoprì essere era ben noto alla polizia. Si chiamava Venezia ed era a Porta Venezia. La padrona dell’appartamento era vedova e fabbricava cornici di cartone e vetro per fotografie, per un negozio. Fonte la descrive così:

Circa 50 anni; capelli grigi; altezza media; abbastanza grossa.

Fonte dichiara che fu sorpreso di vedere che aveva affittato un’altra stanza della casa, a un uomo che vi andava due volte alla settimana con la sua amica. Verso il 21 o 22 dicembre la donna disse a Fonte, quando lui le telefonò, che l’altro “sig. Rossi” le aveva telefonato e Fonte poteva tornare alla sua casa. Più tardi il “sig. Rossi” telefonò a Fonte per organizzare di vederlo e si incontrarono. Fonte dà la seguente descrizione del “sig. Rossi”:

Circa 30 anni: alto circa 5 piedi e 5 pollici; grasso; biondo; capelli ondulati; occhi celesti; pelle rosa; naso aquilino; rasato; doppio mento; si morde le unghie; non fuma; voce acuta; ha un tic nervoso di stringere il collo del cappotto; parla bene; è un italiano normale e sembra un rappresentante di commercio.

Questo “sig. Rossi”, come già supponeva Fonte, si rivelò essere 900. Fonte gli chiese perché non gli era venuto incontro al suo arrivo e 900 rispose che aspettava ulteriori istruzioni dalla Svizzera. 900 era solo. Si recarono in un appartamento in via Calvi, a un passo da corso XXII marzo, e lì 900 fece qualche domanda, come: cosa aveva fatto, se gli sarebbe piaciuto rimanere lì, se desiderava del denaro. Disse a Fonte che aveva la sua valigia. Fonte gli disse ciò di cui aveva bisogno. Lui disse a Fonte che per il momento doveva impratichirsi di Milano. (Mr. Mccaffery aveva detto a Fonte di prendere tempo prima di iniziare a lavorare, e che quando sarebbero stati pronti per lui, lo avrebbero provvisto di una radio). Poi si salutarono. Pochi giorni dopo 900 portò a Fonte la sua valigia, e una borsa contenente vari articoli del tipo che un rappresentante di prodotti chimici avrebbe venduto. Fonte doveva fare finta di essere un agente di commercio della ditta di 900.          

Fino alla fine di gennaio Fonte rimase nell’appartamento. Ricevette una o due lettere da Mr. Mccaffery e lui stesso gli scrisse una volta. Le lettere di Mr. Mccaffery gli venivano portate da 900. Fonte scrisse solo come stava e cosa stava facendo. 900 tentò di persuadere Fonte a lavorare dalla stanza ammobiliata, ma Fonte si rifiutò dato che non aveva fiducia nella donna. 900 voleva che Fonte dicesse che stava facendo esperimenti in radiofonia per una ditta. Fonte scrisse a Mr. Mccaffery dicendogli che non poteva lavorare in quella stanza, poiché la donna era solita entrare e uscire. Pochi giorni dopo 900 fissò un incontro con Fonte e gli disse che dovevano cercare un appartamento per lui, avendogli Mr. Mccaffery detto che Fonte non doveva lavorare dov’era. Trovarono l’annuncio di un appartamento sul giornale e lo presero. Era in via Spartaco, 8.

L’1 o 2 febbraio Fonte si spostò nell’appartamento in via Spartaco 8, che 900 gli aveva affittato col nome Rossi. Era un appartamento ammobiliato.

In questo lasso di tempo 900 aveva l’apparecchio radio e il piano di Fonte – Fonte li aveva visti, insieme ad una rivoltella a lui destinata, nell’appartamento di 900 in via Calvi. Vide anche dei cristalli [“crystals”] e munizioni per la rivoltella. 900 raccontò a Fonte che questo appartamento era una seconda casa usata da lui per incontrare le persone, ma Fonte scoprì in seguito che viveva proprio lì. 900 tenne la rivoltella di Fonte, dicendo che non era prudente che Fonte la tenesse nel suo appartamento. Fonte dichiara che non voleva avere la rivoltella.

9. Fonte inizia a lavorare

Fonte iniziò a lavorare da quest’appartamento circa a metà febbraio o inizio marzo. Nascondeva la sua radio in un armadio. Fonte tentò di contattare il Regno Unito ma sebbene lo avessero sentito una o due volte, la cosa non funzionava bene. Fonte ritiene che la causa fosse l’antenna, poiché aveva dovuto collocarla dentro casa, essendo a quel tempo stabilito che non dovevano esservi antenne all’esterno. Fonte cercò per due o tre settimane di realizzare il contatto, ma senza successo. 900 allora gli disse di smettere di lavorare. Anche Mr. Mccaffery gli disse di smettere, per lettera, aggiungendo che non c’era fretta per lui di lavorare. Questo avvenne circa a metà marzo. Intorno a quel periodo 900 venne e portò via la radio, dicendogli che non aveva lavoro da dargli e che non si fidava della radio e preferiva usare i corrieri. Disse che la radio gli sarebbe servita solo se il servizio corrieri non avesse più funzionato. Mr. Mccaffery gli scrisse per dire che era importante che rimanesse sul posto nel caso ci fosse bisogno di lui. 900 disse a Fonte che aveva avuto istruzioni che Fonte non contattasse nessuno. Fonte scrisse a Mr. Mccaffery e gli disse che stava sprecando tempo, ma la risposta fu di dormire molto e mangiare bene. Fonte ritiene che queste lettere provenissero veramente da Mr. Mccaffery e non invece dei falsi, scritti da 900; questo perché a volte accennavano a cose ignote a 900, per esempio vi veniva menzionato “Tom”. Le lettere di Mccaffery erano sempre scritte con l’inchiostro invisibile. 900 riferì a Fonte che incendiava o faceva saltare delle fabbriche e anche che aveva fatto deragliare dei treni. Disse anche che era stato in contatto con l’aiutante di campo di Badoglio.

Durante questi due mesi Fonte andava al cinema due volte al giorno, e si recava sempre allo stesso ristorante a mangiare, dove incontrava 900. Fonte era conosciuto là come “Avvocato Rossi” e 900 come “Signor ingegnere”. Questo caffè si chiamava Brenta e si trovava in corso XXII marzo. In quanto alla portiera del palazzo in cui viveva, Fonte faceva finta di aver molto da fare nelle sue mansioni di rappresentante.

10. Fonte riprende a lavorare

In maggio Fonte ebbe di nuovo il suo apparecchio e gli fu comunicato di ricominciare a lavorare. In quel mese riuscì a mandare con successo solo un messaggio. Fonte poteva ricevere, ma non essere sentito. Con un segnale da Londra gli fu detto che se le cose non miglioravano poteva smettere. Questo avvenne circa all’inizio di giugno. 900 disse a Fonte di stare tranquillo e aspettare. Fonte allungò la sua antenna in luglio col risultato che era quasi sempre udibile a forza 5. Ricevette e trasmise vari messaggi, ma nessuno di essi era di grande importanza e non furono più di dieci in tutto. Londra chiese a Fonte di mandare urgentemente informazioni generali e di dire a 900 di far saltare linee ferroviarie. Fonte passò tutti questi messaggi a 900. 900 si trattenne a Milano più o meno tutto il tempo fino a giugno. Fonte lo vedeva praticamente tutti i giorni al ristorante. 900 disse che era buona regola di sicurezza pranzare sempre allo stesso ristorante. Fonte riferisce che nel 1943 c’erano pochi controlli nei ristoranti. 900 disse a Fonte di non preoccuparsi se veniva arrestato dato che lui (900) aveva molti amici. Fonte continuava la sua vita di prima cercando di riempire le giornate recandosi nei caffè o nei cinema e facendo finta di lavorare come rappresentante. Non ebbe fastidi se non una volta, al ristorante Brenta, quando la polizia controllò le tessere annonarie, ma fortunatamente se ne andò prima di arrivare a lui. Un’altra volta gli fu chiesto di mostrare i documenti d’identità; fece vedere il certificato medico e gli dissero che avrebbe dovuto fare un’altra visita medica. Presero nome e indirizzo dalla carta d’identità ma dato che l’indirizzo era uno di Firenze, falso, non ne seppe più niente.

In questo periodo iniziarono i bombardamenti su Milano, circa cinque in tutto. Durante i bombardamenti 900 scappò da Milano; al termine tornò dicendo a Fonte che aveva ricevuto istruzioni di portare via l’apparecchio radio ecc. in un posto sicuro. Fonte ricevette istruzioni da 900 di incontrarlo a Porta Venezia e dargli la valigia con la radio. Fonte vide 900 consegnarla a sua volta a un uomo in una macchina. Fonte vide l’uomo, e riferisce che la macchina era una normale macchina civile, blu. Fonte dice che non lo sorprese la richiesta di consegnare la radio affinché fosse messa al riparo in un posto sicuro, dato che i messaggi che inviava non erano molto importanti. Quando Fonte disse a 900 che doveva raccogliere informazioni generali da trasmettere, 900 ribatté di avere già inviato molti rapporti in Svizzera tramite corriere. Fonte riteneva che in un certo senso 900 faceva bene, dato che i rapporti erano molto lunghi ed era più semplice mandarli per corriere. Interrogato se, dato che Londra aveva chiaramente detto che voleva urgentemente questi rapporti non sembrasse a Fonte strano che 900 inviasse questi rapporti tramite corriere, Fonte ha dichiarato che qualsiasi opinione avesse avuto, non si trattava di un affare suo, poiché lui era solo l’operatore radio di 900 e trasmetteva i messaggi con le informazioni che otteneva da 900.

11. Fonte si reca in Svizzera

A quel punto Fonte andò a Stresa con 900. 900 stava in un albergo con la moglie e il figlio, sotto il nome Klein. In una lettera da Mr. Mccaffery Fonte seppe che un uomo di nome Tito doveva essere paracadutato. Un giorno 900 si assentò e al suo ritorno disse a Fonte che Tito era stato lanciato sul lago di Como, che era stato catturato e portato a Roma, e che poi era stato rilasciato. 900 disse che aveva avuto istruzioni dalla Svizzera tramite corriere che Fonte doveva rimanere a Stresa; e, poiché 900 aveva la sua radio, non vi era null’altro che lui potesse fare. Fonte rimase lì fino all’8 settembre. Il 9 settembre 900 andò via per la giornata e quando tornò disse a Fonte di tornare in Svizzera, e che non era bene [“no good”] tornare a Milano, dato che Milano era completamente controllata dai tedeschi, e i suoi assistenti non potevano assumersi la responsabilità della sicurezza di Fonte. Fonte disse che sarebbe stato più facile a Milano dato che era stato firmato l’armistizio e quindi un maggior numero di italiani sarebbe stato dalla loro parte. 900 comunque disse che aveva discusso la questione col suo assistente Bologna e con altri, e che avevano deciso che Fonte non poteva più lavorare e che sarebbe stato un pericolo per l’organizzazione. Fonte quindi decise che l’unica cosa da fare era di recarsi in Svizzera. 900 e Fonte si recarono a Como e cercarono di contattare un uomo chiamato Cavadini di cui Fonte aveva avuto l’indirizzo da Mr. Mccaffery, che era persona a cui Fonte poteva rivolgersi in caso di emergenza. (Cavadini e 900 erano gli unici due contatti in Italia che erano stati dati a Fonte). Comunque non riuscirono a contattarlo e quindi andarono a Chiasso e si informarono su come attraversare il confine. Alla fine trovarono, grazie a un ragazzo, una località fuori Chiasso dove si poteva passare il confine. 900 tornò a Como dopo aver dato a Fonte un indirizzo di Como dove sarebbe rimasto per circa una settimana. Gli disse che voleva che un corriere lo contattasse lì. Raccontò a Fonte alcune cose che gli chiedeva di riferire a Mr. Mccaffery in Svizzera.

Quando fu buio Fonte attraversò il confine, senza essere fermato da guardie svizzere o italiane. Nel passare Fonte si strappò i pantaloni sul filo spinato e cadde in un fosso sporcandosi i pantaloni di mota. Era piuttosto stanco ed entrò in un caffè a Chiasso dove era stato quando aveva passato il confine la volta prima. La gente nel caffè non lo riconobbe. Fonte attese che tutti se ne fossero andati e poi disse alla padrona del caffè che era un internato civile inglese, che era scappato e voleva raggiungere un consolato. La donna fu molto gentile, gli dette un altro paio di pantaloni, cambiò i suoi soldi italiani e gli disse che treno prendere per Lugano. A Lugano contattò il vice-console che portò Fonte a casa sua. Mr. Mccaffery venne a trovarlo.

Mr. Mccaffery si arrabbiò perché Fonte era in Svizzera, non capiva perché fosse venuto, né perché 900 gli avesse detto di venire. Fonte raccontò tutta la vicenda a Mr. Mccaffery e questi non riusciva a comprenderla. Disse a Fonte che avrebbe dovuto essere in Italia.

Fonte esaminò a fondo le varie questioni con Mr. Mccaffery e in special modo esaminò [“discussed”] 900, riguardo al quale le impressioni che Fonte aveva a quel tempo sono riportate nel paragrafo 12.

Mr. Mccaffery dette a Fonte il nome di una quindicina di persone in Italia, da imparare a memoria e le parole d’ordine tramite le quali potevano essere contattate. Fonte doveva ricorrere a loro solo in caso di necessità. Stabilì anche con Mr. Mccaffery una parola d’ordine nota solo a loro due che era: “Ti porto i saluti di Klippen”. Mr. Mccaffery disse a Fonte che vi sarebbe stato molto lavoro per lui. Fu sorpreso di sentire che Fonte non aveva ancora incontrato l’assistente di 900, Bologna e gli disse di contattarlo. Non impartì a Fonte alcuna istruzione specifica in merito al suo lavoro, dicendo che Fonte avrebbe ricevuto tali istruzioni in una lettera inviata da Mr. Mccaffery tramite 900. Gli disse inoltre di mettersi in comunicazione col Regno Unito appena possibile. Gli dette un messaggio da dare a 900: 900 doveva stabilire linee di comunicazione in Italia e cercare di organizzare i patrioti in gruppi, organizzare centri di stoccaggio di cibo ecc. La linea di comunicazione doveva essere fra il nord e il sud Italia. 900 doveva anche preparare luoghi per lanci col paracadute. Inoltre 900 doveva continuare la sua opera di sabotaggio.

12. Impressione di Fonte su 900

Fonte dichiara che fino a quel momento non aveva avuto il minimo sospetto sulla lealtà di 900. Dichiara che sia a Londra che in Svizzera gli era stato ripetutamente detto che poteva riporre piena fiducia in 900 e appoggiarsi totalmente a lui. Inoltre che 900 era un uomo meraviglioso e che lui, Fonte, sarebbe stato al sicuro finché 900 lo proteggeva. Sebbene Fonte non avesse dubbi sulla lealtà di 900, tuttavia, a questo punto si era formata un’impressione decisamente sfavorevole nei suoi riguardi. Ciò era dovuto a parecchie cose che Fonte aveva osservato in lui. Fonte dice che 900 aveva tendenza a mentire ed esagerare e allo stesso tempo l’abitudine di tradirsi contraddicendo ciò che aveva detto nel corso della stessa conversazione. Per quanto Fonte potesse giudicare, 900 era privo di principi morali e politici. Ciò che in particolare non gli piacque fu quando 900 gli disse che una delle sue principali ragioni per fare quel lavoro era di poter ottenere un buon incarico dopo la guerra, e chiese a Fonte se anche a lui era stato offerto un lavoro. Inoltre Fonte ha dichiarato che 900 gli aveva sempre fatto scrivere le sue lettere in fretta e furia, dicendogli che il corriere era proprio in partenza. Fonte scoprì in seguito che il corriere spesso non partiva fino al mattino dopo, e più di una volta chiese a 900 di dargli due giorni di preavviso sulla data di partenza del corriere. 900 non dette mai preavviso, e si sedeva accanto a lui mentre scriveva, certamente per leggere quel che andava scrivendo. Fonte inoltre era portato a credere che 900 non gli desse tutto il denaro che era inviato proprio per lui. Inoltre, Fonte era deluso dell’apparente mancanza di coraggio di 900, che, per esempio, si allontanava da Milano in occasione delle incursioni aeree degli alleati.

In quanto alla propria posizione Fonte ha messo in evidenza che si trovava in una situazione di grande difficoltà a Milano. Dipendeva da 900 e gli era stato detto di fidarsi di lui. Allo stesso tempo era molto ansioso di avere un compito da svolgere e scontento di stare sprecando del tutto il proprio tempo. Fonte ripetutamente aveva scritto lettere a Mr. Mccaffery, facendogli notare che era inattivo e chiedendo qualcosa da fare, ma senza risultati. Fonte trovava specialmente inquietante che 900 avesse insistito che lui tornasse in Svizzera proprio nel momento in cui a Fonte pareva sorta un’occasione per iniziare il suo vero lavoro a Milano.

13. Ritorno di Fonte in Italia

Dopo una permanenza di circa otto giorni in casa del vice-console Fonte tornò in Italia. A questo fine incontrò uno dei contrabbandieri che l’avevano portato oltre confine la volta precedente, ma in questa occasione il contrabbandiere si rivelò del tutto inutile e organizzò le cose talmente male che Fonte fu arrestato dalle guardie svizzere. Comunque riuscì a essere rilasciato, dicendo che era venuto dall’Italia e cercava di entrare in Svizzera. Le guardie quindi rimandarono Fonte in Italia (così credevano). Fonte poi andò a Como alla casa di 900. Era stato stabilito che 900 lo avrebbe fornito di documenti nuovi dato che Fonte, a questo punto, aveva distrutto i suoi precedenti documenti d’identità (pur serbando il suo certificato medico). 900, però, non era più a Como, e dopo aver trascorso la notte nella stanza ammobiliata di 900 a Como, l’indomani mattina Fonte tornò nel suo appartamento a Milano. Qui Fonte rimase fra i 10 e i 14 giorni fino a che un pomeriggio 900 lo venne a trovare. 900 disse che non poteva procurargli né una carta d’identità, né una carta annonaria, e che non avrebbe più dovuto tornare a Milano, dato che era sospettato.

900 poi disse a Fonte che si sarebbero rincontrati a Varese. Qualche tempo dopo Fonte si recò a Varese per contattare 900 e lo incontrò in un caffè. Fonte era venuto a prendere denaro e lettere da Berna e anche i documenti d’identità. Fonte si recò a Varese due o tre volte. In una di queste, Fonte e 900 andarono in un’agenzia di viaggi e riuscirono ad avere un abbonamento ferroviario stagionale che valeva anche come documento d’identità. Per ottenere questo abbonamento occorreva mostrare la carta d’identità; ma Fonte disse che doveva andare fuori città e che avrebbe mandato la fotografia tramite un amico. 900 gli fece la foto e dette i particolari, e la ragazza [dell’agenzia] gli consegnò l’abbonamento senza chiedere di vedere alcun documento.

A Varese Fonte incontrò il corriere svizzero che operava come corriere fra Mr. Mccaffery e 900. Quest’uomo aveva una ditta in Svizzera e una in Italia, e andava da una all’altra in macchina. Fonte gli fu presentato mentre era con 900; il suo nome era Andreoli. Fonte e Andreoli si ritrovarono e decisero di stabilire contatti diretti fra loro dato che le cose non andavano troppo lisce con 900 quale intermediario. Fonte non aveva riavuto la sua radio e 900 si scusava sempre dicendo che era successo qualcosa, cambiando scusa ogni volta. Tuttavia alla fine confessò che la radio e il piano erano stati buttati in un pozzo. Andreoli disse che chiaramente né Londra né la Svizzera [Mr. Mccaffery] erano soddisfatti di 900 e volevano che Fonte inviasse rapporti più dettagliati. Fonte descrive Andreoli così:

circa 34 anni; altezza media; abbastanza largo; scuro; pelle scura; leggermente calvo; viso tondo.

Quando Andreoli aveva qualcosa per Fonte, erano d’accordo che gli telefonasse per avvisarlo e per accordarsi sul luogo d’incontro. Promise di fare avere a Fonte una carta d’identità ma non lo fece mai. Disse a Fonte che sarebbe arrivata un’altra radio per lui, ma che le istruzioni di Mr. Mccaffery erano che Fonte aspettasse pazientemente. Questo avvenne nel dicembre 1943 o gennaio 1944. In seguito disse a Fonte che dato che Londra nutriva dei sospetti sull’organizzazione, non avrebbero mandato un altro apparecchio fin quando le cose non si fossero un po’ chiarite. Andreoli disse a Fonte che 900 stava ricavando molti soldi da tutto ciò e che i suoi rapporti erano assai vaghi.

Alla fine di novembre fu emanata una disposizione che ogni civile doveva avere con sé la tessera annonaria per il pane e la pasta, essendo questo l’unico mezzo per scoprire se eri un soldato scappato. Poiché Fonte non l’aveva, scrisse a Mr. Mccaffery chiedendogli di mandarne una. La risposta fu orale, portata da un corriere, che disse che egli, Mccaffery, non capiva ciò che Fonte intendesse dire, e se era un segnale di allarme.

Fino a gennaio 1944 Fonte non aveva contattato le persone i cui nomi gli erano stati dati da Mr. Mccaffery, non avendo egli ricevuto istruzioni per farlo. Mr. Mccaffery aveva detto che avrebbe comunicato a Fonte quando contattarle e anche allora, solo in caso di emergenza. Fonte ancora non pensava lontanamente che 900 stesse facendo il doppio gioco con lui. Fonte pensò di tornare in Svizzera ma continuò a sperare che la prossima volta il corriere gli avrebbe portato notizie migliori. Si sentiva in grave disagio dato che percepiva che qualcosa non andava e non riusciva ad ottenere aiuto da nessuno. Non aveva dei documenti d’identità validi se non l’abbonamento ferroviario stagionale e nessuna tessera annonaria, che si doveva portare con sé insieme alla carta d’identità, il certificato di licenza [militare, data la sua età] ecc. Fonte era assai infelice della sua situazione e dell’inattività obbligata, allo stesso tempo non aveva alternative se non continuare la sua vita come prima e impiegare il tempo in modo da attirare l’attenzione su di sé il meno possibile.

Fonte vide Andreoli e 900 l’ultima volta alla fine di gennaio. 900 si lamentò che non riceveva abbastanza denaro e che non otteneva aiuto da Mr. Mccaffery. Andreoli continuò a dire che Londra non era soddisfatta e chiedeva rapporti più dettagliati, e a Fonte fu detto ancora una volta di aspettare.

14. Fonte va via da Milano

Il 21 gennaio, circa alle otto di mattina, una donna suonò il campanello dell’appartamento di Fonte il quale la fece entrare. Dette la parola d’ordine che Fonte aveva stabilito con Mr. Mccaffery. Chiese a Fonte di seguirla e uscirono nella strada. Qui c’erano due uomini che mostrarono una lettera indirizzata a un uomo di nome Benassi e firmata Sandro Rovetta. Fonte apprese dopo che uno di questi uomini era Luigi Romelli (soprannominato Bigio) e l’altro era Grazioso Frigoli. La lettera concerneva soprattutto Fonte e diceva che Benassi doveva cercarlo e dirgli che qualcuno di cui Fonte si fidava stava facendo il doppio gioco, e avvertirlo che la padrona di casa poteva essere un’impiegata del servizio di controspionaggio. Diceva inoltre che poiché Fonte era un buon operatore radio sarebbe stato utile alla loro organizzazione e l’avrebbero tenuto in montagna. (Rovetta era un corriere fra la Svizzera e Benassi alias Petrini, il quale era aiutante del generale Fiori, capo delle Fiamme Verdi). Fonte decise di agire rapidamente, tornò nell’appartamento, mise in valigia alcune cose e disse alla portinaia che sarebbe uscito ma sarebbe tornato prima di notte. I due uomini e la donna non dissero a Fonte chi era questa persona di cui Fonte si fidava, ma egli suppose che fosse 900 o Andreoli.

Fonte andò con la donna che si chiamava sig.ra Laura Viganotti. Abitava a piazza del Carmine 6 (suo marito è Ulisse Viganotti). A Fonte fu chiesto come questa donna sapesse il passaparola personale fra lui e Mr. Mccaffery e Fonte rispose che era scritto nella lettera. Evidentemente Mr. Mccaffery aveva inviato la richiesta a Petrini di aiutare Fonte, tramite Rovetta. L’iter doveva essere stato questo: Rovetta doveva portare la lettera dalla Svizzera, attraversare il confine italo-svizzero e consegnarla ad un uomo di nome Arturo alias Monti, che l’avrebbe presa e a sua volta data a una certa sig.ra Tomassi; ella, a sua volta, l’avrebbe portata in autobus a Edolo [in Valcamonica] e là l’avrebbe data o a un uomo chiamato capitano Romolo Ragnoli alias Signorini alias Felice (ora il comandante della Divisione Tito Speri delle Fiamme Verdi), o a Petrini. La signora non doveva aprire la lettera. Tuttavia, quando questa lettera su Fonte arrivò, la sig.ra Tomassi non riuscì a ottenere un appuntamento con Petrini, dato che questi era a Milano e non desiderava vedere nessuno lì, e fu molto arrabbiato con lei per aver cercato di contattarlo lì. Sapendo trattarsi di una lettera urgente, ella la portò a Romelli (altro membro dell’organizzazione), l’aprirono e agirono di conseguenza. (La sig.ra Tomassi fu in seguito licenziata per essere troppo curiosa, senza discrezione e interessata al guadagno).

Fonte si recò con la sig.ra Viganotti e i due uomini, Luigi Romelli e Grazioso Frigoli, alla casa di lei. Alle due circa partirono per Rino di Sonico, situato circa 4 chilometri a sud di Edolo. Fonte rimase una notte in casa di Romelli e poi prese una stanza in una piccola locanda a Rino. Pochi giorni dopo Fonte ebbe un incontro con Petrini, Fiori, il capitano Romolo Ragnoli e un giovane di nome Reginella. Fonte rimase a Rino due mesi. Mentre fu lì organizzò un terreno nella Valmalga per ricevere lanci di provviste paracadutate, ma nessun lancio ebbe luogo. In questi due mesi Fonte ricevette qualche lettera da Mr. Mccaffery tramite Arturo, nelle quali Mr. Mccaffery gli diceva che faceva meglio a tenere un profilo basso. A Rino Fonte abitava nella locanda ma prendeva sempre i pasti a casa di Romelli. Fonte aveva ancora l’abbonamento ferroviario col nome di Rossi. Ha detto che nei paesi non vi era bisogno di tessere annonarie. Romelli sosteneva di aver circa 100 uomini sotto di lui, che avevano una capanna in montagna. Avevano delle armi saccheggiate dalle caserme o comprate da soldati che erano rientrati dalla guerra. Durante questi due mesi Fonte continuava a sperare di ricevere istruzioni per cominciare a lavorare; gli fu promesso che sarebbe presto arrivata una radio.

15. I genitori di Fonte

Fonte era piuttosto preoccupato per i suoi genitori che erano ancora a Firenze in quel periodo. Così cercò di contattarli attraverso un amico di Petrini di nome Gracchi alias Caracciolo. Dopo un certo tempo Fonte ricevette una risposta subito prima di Pasqua, nella quale si diceva che una signora voleva che si organizzasse un incontro fra lei e Fonte, e Fonte la incontrò a Milano. Si chiamava Tina Lorenzoni e riferì a Fonte che aveva portato i suoi genitori e suo fratello minore fuori d’Italia [in Svizzera]. Fonte le diede un indirizzo a Milano dove lo avrebbe potuto contattare e in seguito ella riuscì a procurargli una carta d’identità e delle tessere di razionamento. Si misero d’accordo che quando lei voleva contattarlo, avrebbe scritto alla sig.ra Viganotti, apponendo dietro la busta un certo nome, vedendo il quale la sig.ra Viganotti avrebbe inoltrato la lettera a Fonte.

16. Partenza di Fonte da Rino e suoi spostamenti successivi

In marzo Fonte seppe che due paracadutisti erano atterrati con una radio per lui, ma non li vide mai. Fonte doveva contattarli a casa di Arturo ma nessuno sa cosa accadde loro, e Fonte ritiene che probabilmente, avendo un po’ di soldi in tasca, se ne siano semplicemente andati a casa.

In aprile la polizia sospettò Romelli, che fu obbligato a lasciare la sua abitazione e recarsi in montagna, dove iniziò a formare un gruppo sotto il comando delle Fiamme Verdi.

Dopo che Romelli era andato a vivere in montagna, Fonte si recò prima a Bienno (vicino a Breno) e poi a Milano. In seguito andò a Lecco dove fu ospitato da un dott. Giovanni Confalonieri, amico di Petrini, uno dei responsabili amministrativi delle Fiamme Verdi. Era circa maggio. Durante questo periodo operò come corriere e fece qualsiasi altra cosa possibile per rendersi utile.

In maggio Fonte andò in Valcamonica dove Petrini gli disse che c’era un apparecchio radio per lui. Dapprima si recò a Cividate, poi a Fonteno con Ragnoli e lì incontrarono un uomo di nome Romolo che riferì di essere stato lanciato col paracadute vicino a Vicenza assieme a un certo “Ugo”. Questo “Ugo” era un operatore radio ma era stato arrestato. “Ugo” era andato a Milano a vedere un uomo chiamato Gino Secchi (che in seguito si rivelò poco fidato), e vedendo un vecchio amico per strada gli aveva sorriso, senza sapere che era seguito dalla polizia, che naturalmente aveva arrestato “Ugo”. Fu deciso che Fonte l’avrebbe rimpiazzato ma quel giorno stesso “Ugo” uscì di prigione e tornò. Fonte quindi, era nuovamente senza lavoro.

Nei mesi di maggio e giugno Fonte fu a Lecco e a Fonteno e continuò il suo lavoro di corriere fra Arturo, Petrini, Ragnoli e “Ugo”, e inoltre aiutò “Ugo” nel suo lavoro.

Durante questo periodo Fonte continuò a ricevere messaggi da Mr. Mccaffery per dire che presto gli avrebbero mandato una radio.

17. Il lavoro di Fonte per il Comitato di Milano.

Alla fine di giugno Romolo si mise in contatto con uno degli uomini sulla lista che Mr. Mccaffery aveva dato a Fonte. Si chiamava Piero Quarti. Disse a Romolo che il Comitato di Milano aveva bisogno di un operatore ricetrasmittente e chiedevano “Ugo”. Ma poiché “Ugo” stava già lavorando, Romolo chiese a Fonte se voleva andare in sua vece, e fu deciso così. Attraverso Quarti, Fonte contattò la figlia di Quarti, che lo mise in contatto con il capo dipartimento radio del Comitato di Milano, Giovanni. Essendo allora Fonte nelle Fiamme Verdi, era sotto il comando del generale Fiori e aveva bisogno del suo permesso per lavorare per il Comitato di Milano; ma il generale Fiori gli dette il permesso di lavorare sotto Giovanni. Dapprima lavoravano dall’appartamento del “coordinatore militare” del Comitato, un professore di statistica dell’università Bocconi. Già il secondo giorno dovettero in fretta abbandonare l’appartamento, dato che la polizia aveva arrestato un uomo che portava con sé l’indirizzo; Fonte sentì dire che circa 25 altre persone erano state arrestate, come lo sarebbero stati loro se non fossero fuggiti. Il nome dell’uomo era Valsecchi. L’apparecchio che usavano era americano. Fonte cominciò a operare ai primi di luglio. Rimase qualche giorno in una camera ammobiliata presso la sig.ra Scalfi, viale Lunigiana 8. Giovanni poi trovò un’altra abitazione per Fonte a Veniano Inferiore, a circa 40 chilometri a sud [recte, nord] di Milano. Qui Fonte stava con un certo Carissimi, sua moglie e una figlia piccola. Era sfollato da Milano e sua moglie era nativa del paese. Possedevano qualche ettaro di terreno. Carissimi era un comunista che aveva perso il suo lavoro alla fabbrica Stigler. Nello stesso paese abitava il professor Vacchi, anch’egli sfollato, che andava tutti i giorni a Milano a far lezione di matematica ad alcuni studenti.

Fonte e Carissimi tentarono di trasmettere da un bosco vicino a casa, con l’aiuto di due batterie di macchina, ma si resero conto che non erano abbastanza forti e si misero a operare dalla casa di Carissimi. Misero perciò l’antenna sul tetto e cercarono di contattare Genova, Bologna, Firenze, Venezia, Padova e l’altro operatore “Ugo”. La loro idea era di attivare un sistema di collegamenti interni, ma non riuscirono mai ad avere dei contatti soddisfacenti.

18. Incontro di Fonte con 900

Due ore prima di andar via da Milano, Fonte aveva incontrato 900 sul tram. Fonte giudicò che pareva molto agitato e mal vestito. Disse a Fonte che gli doveva essere molto grato poiché era stato arrestato e non aveva fatto il suo nome. Consigliò a Fonte di andare a Firenze e attendere l’arrivo delle truppe alleate lì. Disse anche a Fonte che aveva continuato a pagare il suo appartamento in via Spartaco. Chiese a Fonte di metterlo in contatto con Mr. Mccaffery poiché aveva una cosa importante da dirgli. Fonte gli disse che gli avrebbe lasciato una lettera in una data lavanderia il 18 luglio. Poi lasciò 900 e cambiò tre o quattro tram per assicurarsi di non essere seguito. Concluse con soddisfazione che non era seguito.

Fonte ha detto che all’inizio di marzo era tornato nell’appartamento per prendere alcune cose (Mr. Mccaffery si era molto arrabbiato quando lo seppe) e aveva saputo che 900 aveva continuato a pagare l’affitto dell’appartamento e scoprì che aveva portato via alcune delle cose di Fonte, come la sua grammatica russa, alcuni quaderni, libri, pipe, riviste ecc. Quando Fonte vide 900 sul tram gli disse di smettere di pagare l’affitto e che lui avrebbe avvertito le persone [“the people”] che non avrebbe più abitato lì. Fonte disse che aveva capito che 900 stava mentendo. Fonte rimase con 900 per circa mezz’ora. Cercava di allontanarsi ma non voleva che 900 pensasse che nutriva dei sospetti su di lui. Fonte preparò un rapporto su questo incontro e poi contattò il corriere fra lui e Petrini e chiese che il rapporto fosse inviato a Berna il prima possibile.

Il 26 luglio Fonte andò alla lavanderia e trovò una lettera da 900 con richiesta di rispondergli appena possibile. Di nuovo Fonte prese la precauzione di prendere 4 o 5 tram per assicurarsi di non essere seguito. Petrini disse a Fonte di non recarsi alla lavanderia poiché era sorvegliata; e siccome 900 era l’unica persona che sapeva che Fonte sarebbe andato alla lavanderia, chiaramente era stato 900 a dare l’indirizzo alla polizia.

19. Fonte continua il suo lavoro

In quei giorni Fonte ricevette una lettera da Mr. Mccaffery, nella quale si diceva che la sua posizione stava diventando sempre più pericolosa e che sarebbe stata una buona idea se fosse tornato in Svizzera. Fonte replicò che aveva perso il contatto con 900 e quindi con la polizia e che pensava fosse peccato di tornare proprio ora, quando stava per iniziare il lavoro con la Svizzera. Disse anche che Veniano era un posto sicuro. Fu comunque deciso che Fonte non andasse più a Milano, Petrini avrebbe portato le lettere per Fonte alla madre di Carissimi che abitava a Milano, e lei gliele avrebbe inoltrate. Fonte poi tornò alla casa di Carissimi.

Alla fine di luglio a Fonte era stato consegnato un apparecchio radio da aereo, più potente di quello che avevano usato in precedenza e dopo qualche iniziale difficoltà, in parte dovuta alle condizioni del tempo, Fonte ebbe contatti soddisfacenti; durante la prima metà di agosto lavorò tutti i giorni, anche se i messaggi erano per lo più non recenti né molto interessanti.

20. Fuga di Fonte

Vicino al paese di Veniano c’era un bosco piuttosto grande lungo circa 15 chilometri e largo 6 chilometri. Carissimi aveva sentito che là vi erano molti partigiani e pensava che sarebbe stata una buona idea di organizzarli. Giovanni approvò e disse che avrebbe tentato di far loro paracadutare delle provviste. Fonte non riteneva questa fosse una buona idea e cercò di dissuadere Carissimi dal portarla avanti, ma Carissimi era deciso. Fonte gli disse di prendere contatti con uno dei partigiani e valutare la prospettiva; invece Carissimi entrò nel bosco e disse a tutti il suo nome e le sue intenzioni.

In quei giorni nel paese ci furono delle turbolenze. Erano state date alle fiamme delle trebbiatrici e un fascista era stato ucciso. Da Como arrivarono circa 200 fascisti per attaccare i partigiani che ritenevano essere la causa di questi fatti. Ma non vi fu battaglia in quanto i partigiani si erano spostati in montagna. Comunque dopo questo episodio il paese era pieno di Guardie Brigate Nere [sic] e tutte le strade venivano pattugliate e ogni trebbiatrice era sorvegliata dai fascisti.

La notte del 18-19 agosto, verso le una, la casa di Carissimi fu circondata. Carissimi svegliò Fonte e gli disse che Vacchi li voleva al piano di sotto. Andarono sul balcone e videro Vacchi in basso col Commissario prefettizio. Vacchi disse che la sua casa era stata perquisita e ora volevano perquisire quella di Carissimi. Con questi due vi erano 5 o 6 guardie. Erano membri delle Brigate Nere. Fonte dedusse che erano venuti a cercare l’apparecchio radio. Fonte voleva che Carissimi lo aiutasse a nascondere gli apparecchi, ma Carissimi perse la testa e cercò di scappare, e venne preso. Mentre lui cercava di scappare, Fonte riuscì a portare uno degli apparecchi sul balcone, prese le coperte e i lenzuoli dalla cucina dove aveva dormito e li mise in una camera da letto. Fonte poi cercò delle lettere che aveva scritto a Giovanni e Petrini e che aveva dato a Carissimi da inoltrare a destinazione. Ma non le trovò e la moglie di Carissimi gli disse che erano nelle tasche della giacca di suo marito e che perciò le aveva con sé. Fonte aveva i suoi documenti che teneva sempre nella tasca dei pantaloni. I piani di Fonte erano in valigia con l’apparecchio radio. Fonte non ebbe tempo di nascondere l’altro apparecchio radio. Sentì arrivare qualcuno, così corse su nell’attico e raggiunse il tetto. Mentre saliva sul tetto Fonte si impigliò nei fili elettrici ed ebbe qualche leggera scossa. Allora decise di saltare giù e lo fece. Fonte ha detto che non era un salto molto alto. Era una strada di ciottoli e Fonte, essendo caduto sui talloni, si fece molto male. Per strada non vi era nessuno, e Fonte riuscì ad allontanarsi di circa 200 yarde dal paese, fino a un posto dove c’era un boschetto. A questo punto Fonte era esausto e dovette stendersi per terra. Fonte rimase nel boschetto tutto il sabato e la domenica poiché non poteva muoversi. Fonte non aveva cibo se non dell’uva selvatica che cresceva nel bosco. Fonte era stato visto da una donna ma questa non si era fermata e aveva proseguito, anche se l’aveva visto. Fonte non uscì dal bosco, comunque, dato che non poteva muoversi.

Verso le 8 di sera del lunedì Fonte incontrò un contadino che lo mise in contatto con un suo parente nei G.A.P. (Gruppo d’Azione Partigiana). Fonte gli chiese di contattare Giovanni.

La donna che aveva visto Fonte nel bosco lo riconobbe e andò a dirlo al cognato di Carissimi che venne nel bosco e vide Fonte. Gli disse che Carissimi, sua moglie e Vacchi erano stati arrestati. Gli portò degli abiti e poi Fonte non lo rivide più. Fonte rimase nel bosco circa 10 giorni. Fonte si stava preoccupando avendo sentito che la polizia lo stava ancora cercando, con dei cani. Il G.A.P. portò a Fonte una bicicletta e il 28 agosto lo condusse in un paese vicino a Lomazzo dove Fonte rimase per circa 10 giorni. Il G.A.P. aveva tentato di metterlo in contatto col Comitato di Milano ma non vi era riuscito; così Fonte decise di provarci lui stesso. Andò quindi a Lecco e suonò alla casa del dott. Confalonieri; lì riuscì a contattare nuovamente Petrini. Ricevette una lettera da Giovanni che diceva di aver saputo che Fonte era stato ucciso.

21. Successive attività di Fonte

Qui Fonte incontrò un altro amico di Petrini, di nome Claudio, che disse di conoscere un uomo nel controspionaggio che aveva controllato i movimenti di Fonte dal settembre 1943 fino al gennaio 1944; ma che successivamente l’avevano perso e che erano stati molto sorpresi di trovare tracce di lui nella casa di Carissimi, dato che vi erano solo andati perché avevano dei vaghi sospetti su Carissimi. Credevano che ora Fonte fosse scappato in Svizzera.

Mentre accadeva tutto questo, il maggiore Peters era stato paracadutato con un operatore radio e due apparecchi. Ne aveva portato uno a Milano e lasciato l’altro alle Fiamme Verdi. Petrini disse che Fonte poteva usare quest’apparecchio per istruire i due operatori che aveva lui. Fonte aveva pensato di andare in Svizzera, scosso com’era dalle sue passate esperienze, ma fu d’accordo di istruire i due operatori, prima di recarsi in Svizzera. Così Fonte partì da Lecco e andò a Cogno (Valcamonica) dove fu ospitato da Frigoli. Dopo due giorni di addestramento dei due operatori a Corteno, vicino al passo dell’Aprica, arrivò Petrini per dirgli che il maggiore Peters aveva chiesto di avere l’apparecchio. Fonte aveva anche chiesto a Petrini se lui, Fonte, poteva scendere a Milano per operare con lui, ma Petrini aveva risposto di no, poiché le sue istruzioni erano di rimandare Fonte in Svizzera, gli disse anche che non si fidava delle capacità del maggiore Peters.

Fonte si mise allora in contatto con Arturo alias Monti e chiese ulteriori istruzioni da Mr. Mccaffery. Esse furono di recarsi in Svizzera come Lt.Thomson, R.E. e raccontare di essere stato lanciato con un apparecchio radio, fermato e in seguito riuscito a scappare. Non doveva raccontare altre versioni, a nessuno.

Fonte attraversò la frontiera il 14 ottobre 1944. Dalla Svizzera fu mandato a Lione, da dove fu fatto tornare nel Regno Unito in aereo.

22. Rapporti di Fonte con 900

Fonte è stato interrogato sulla strana circostanza che, sebbene, come si è rivelato, 900 si comportava in modo sleale verso gli Alleati, ciononostante non tradì mai Fonte ai tedeschi. La risposta di Fonte è stata che lui pure era perplesso sul perché. Ipotizza che, almeno in parte, ciò può essere spiegato con due considerazioni:

900 faceva il doppio gioco, voleva tenersi buoni ambedue gli schieramenti, e a questo fine voleva essere in grado di dire che comunque non aveva tradito Fonte.

Fonte pensa che 900 avesse una certa qual stima personale per lui.

Fonte inoltre fa notare che pare certo che almeno dopo il loro ultimo incontro a Milano 900 tentò effettivamente di tradire Fonte. Come detto prima in questo rapporto, Fonte fu informato che la lavanderia era sorvegliata e l’unica persona che avrebbe potuto informare la polizia della probabile visita di Fonte alla lavanderia era 900. Vi è anche la possibilità che i capi dei Servizi Segreti Italiani stessero aspettando di poter usare Fonte per qualche grosso colpo e che questa occasione non si fosse ancora presentata prima della partenza di Fonte da Milano in seguito all’avvertimento che aveva ricevuto.

23. Impressioni dell’ufficiale che ha svolto l’interrogatorio

L’impressione ricevuta dall’ufficiale interrogante è stata che Fonte indubbiamente diceva la verità, e che non vi è alcuna ragione di sospettare la buona fede di Fonte. A un primo approccio potrebbe sembrare che ci siano lunghi periodi di inattività da parte di Fonte durante il suo periodo sul campo che richiedono una spiegazione. Fonte ha spiegato la posizione difficile in cui si è trovato, come riferito precedentemente in questo rapporto. L’ufficiale interrogante ritiene che per quanto concerne Fonte tale spiegazione dovrebbe essere accettata come adeguata, e che non si può tacciare Fonte di essere stato indifferente ai suoi doveri. Finché non lasciò Milano, era sotto il controllo di 900 e fece tentativi di ottenere dei compiti da svolgere. Dopo la partenza da Milano, appena gli si presentava l’occasione, si impegnò nel lavoro attivo.

[seguono due paragrafi sulle Fiamme Verdi e sulla situazione generale, qui omessi]

[The National Archives, Londra, SOE personnel files, HS 9/1313, Giacomino Giovanni Sarfatti aka [also known as] Galea aka Rossi, #5129-5150, “Attachment ‘A’. Interrogation of Galea @ Rossi (Real name Giacomino Sarfatti), 2th November]

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